"Se potessi vedere la tua vita dall’inizio alla fine, cambieresti qualcosa?" Questo è il presupposto su cui si basa Arrival, film del 2016 diretto da Denis Villenueve e tratto dal racconto "Storia della tua vita" di Ted Chiang .
La pellicola segue le vicende di Louise Banks, filologa reclutata dall'esercito al fine di tradurre il linguaggio di alieni sbarcati su 12 navicelle spaziali soprannominate "gusci" ed atterrate in diverse parti del globo. Alla missione si aggiunge anche il fisico teorico Ian Donnelly, col quale inizia a entrare in sintonia e con cui instaurerà un rapporto particolare.
Villenueve confeziona un film fantascientifico il cui vero fulcro è la riflessione filosofica sulla lingua, il destino, il libero arbitrio e il tempo, come dimostrato dal linguaggio degli eptapodi, gli alieni invasori, circolare e semasiografico ossia senza ordine di lettura o direzioni e composto da simboli che esprimono concetti e che quindi necessita di una percezione particolare del tempo per essere compreso. Il regista franco-canadese traduce sullo schermo il concetto chiave del racconto di Ted Chiang, la relazione tra linguaggio e coscienza, l'idea che le strutture linguistiche influenzino il pensiero umano, concetto ripreso dall'ipotesi di Sapir-Whorf, rendendolo accessibile senza banalizzarlo. Ogni dialogo, ogni silenzio e ogni sguardo contribuisce a costruire un percorso di comprensione reciproca, dove comunicare diventa un atto di empatia prima che di intelletto. L’idea che la parola possa plasmare la mente si riflette anche nella struttura stessa del film, che abbandona la linearità narrativa per abbracciare una visione più ampia e circolare del tempo.
È qui che Arrival trascende il genere fantascientifico e diventa un’opera profondamente umana: una meditazione sull’accettazione del destino, del dolore e sulla consapevolezza delle proprie scelte.
Aspetti tecnici
Ne deriva quindi un montaggio che riflette perfettamente la natura del racconto: fluido, ellittico, mai caotico. Joe Walker costruisce una narrazione che gioca con la percezione del tempo, alternando passato, presente e futuro senza soluzione di continuità, ma con una logica interna che diventa chiara solo a posteriori. Ogni taglio di scena è calibrato per evocare più che spiegare, accompagnando lo spettatore in un’esperienza emotiva prima ancora che razionale.
La regia di Denis Villeneuve asseconda questa struttura con una compostezza quasi rituale. I movimenti di macchina sono lenti, misurati, spesso dominati da inquadrature simmetriche e da un uso sapiente dello spazio che amplifica il senso di distanza e mistero, ma offre anche un'interpretazione visiva della complessità emotiva e psicologica della protagonista. Non c’è mai enfasi superflua: anche nei momenti di maggiore tensione, il regista predilige il silenzio e l’attesa, trasformando l’incontro con l’ignoto in un atto di contemplazione.
La fotografia di Bradford Young contribuisce a rendere l’atmosfera sospesa e malinconica del film. Le tonalità fredde e ovattate, i controluce e la luce naturale filtrata dalle nebbie costruiscono un’estetica coerente con il tema della conoscenza e del tempo che sfuma. Ogni immagine sembra intrisa di memoria, come se il presente fosse già ricordo.
Colonna sonora
A completare l’impianto visivo e narrativo interviene la straordinaria colonna sonora di Jóhann Jóhannsson: un tessuto sonoro che mescola voci distorte, pulsazioni elettroniche e orchestrazioni minimali, creando un senso costante di mistero e sacralità. La musica non accompagna semplicemente le immagini, ma le espande, diventando parte integrante del linguaggio del film.
Interpretazioni
In questo contesto, le interpretazioni si inseriscono con naturalezza. Amy Adams offre una performance intensa e misurata: la sua Louise Banks è una donna che comunica emozioni profonde attraverso lo sguardo, capace di esprimere insieme vulnerabilità e lucidità. Jeremy Renner, nel ruolo di Ian Donnelly, funge da contrappunto più razionale e terreno, mentre Forest Whitaker conferisce autorevolezza e tensione ai momenti più istituzionali della vicenda.
Disclaimer
Arrival non è un film per tutti: il ritmo è lento e contemplativo, il tono intimo e malinconico, e il focus sicuramente non è l’azione. È una pellicola che vuole far riflettere, che chiede allo spettatore di abbandonare l’urgenza del colpo di scena per lasciarsi guidare da un’esperienza più interiore. Non cerca di intrattenere, ma di trasformare: invita a interrogarsi sul linguaggio, sul tempo e sulle scelte che definiscono la nostra vita. È un cinema che non si consuma nell’immediato, ma che continua a risuonare a distanza, come un ricordo che riaffiora e cambia significato ogni volta che lo si riguarda.
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